Saturday, November 27, 2010

Io Sono Wang Bing


Wang Bing, l altra Cina
di Daniela Persico*

Il festival milanese dedica la retrospettiva al regista nome di punta delle nuove generazioni cinesi, in gara all'ultima Mostra di Venezia con «The Ditch». Scopriremo così anche in Italia i suoi film, da «Tie Xi Qu: West of the Tracks» a «Heng Feng Ming» e «Coal Money», un provocatorio work in progress tra memoria e presente sul paese asiatico
La città fabbrica e il campo concentrazionario sono i due poli entro i quali si muove il cinema di Wang Bing: luoghi cardine della riflessione novecentesca, si intrecciano nell'opera di un artista visivo in grado di unire una consapevole idea politica a uno sguardo che sostiene l'umano, nella sua precaria esistenza. Il suo primo film, Tie Xi Qu: West of the Tracks (Tie Xi Qu, 2003), si è imposto sulla scena internazionale grazie alla partecipazione, ancora work in progress, alla Berlinale e, in seguito, ai maggiori festival dedicati al cinema documentario. L'opera monstre di Wang Bing offre uno sguardo originale su una Cina poco conosciuta, fuori dagli schematismi globalizzati che riducono ogni Paese a una luccicante fiera delle vanità. Niente «luccica» nei suoi film: non esistono metropoli ipermoderne (la loro presenza è soltanto evocata), i suoi uomini sono ricoperti di terra, polvere e fuliggine, il lavoro è svuotato del suo scopo (la produzione). Il mondo di Wang Bing è concentrazionario in quanto tutto sembra ruotare attorno alla fine, alla morte come unico sbocco produttivo: il percorso cominciato con gli operai di West of the Tracks, che con il loro lavoro, non pagato e spesso infruttuoso, tengono in vita una struttura fatiscente, porta lentamente - attraversando una teoria di opere in itinere - verso i campi di rieducazione di The Ditch (Jiabiangou, 2010, presentato alla 67° Mostra d'arte cinematografica di Venezia), dove le fosse scavate dai «dissidenti di destra» sono quelle in cui dormono, vengono reclusi e infine - nella miglior sorte possibile - verranno deposti i loro cadaveri. Il campo diventa qui, come nelle più alte riflessioni al riguardo, la metafora del sistema produttivo novecentesco, di una politica diventata biopolitica, in cui - come scrive Foucault - il corpo dell'individuo è la posta in gioco delle strategie di potere (vedere l'introduzione di Giovanni De Luna a David Rousset, L'universo concentrazionario, Baldini&Castoldi, Milano, '97). E proprio sui corpi si posa lo sguardo del cineasta che nei sei anni di ricerche per la preparazione del film ha ribadito il valore della testimonianza come unica via per la sopravvivenza e il recupero della memoria, imprescindibile necessità per prendere parte al presente.
Il cinema di Wang Bing non ci svela soltanto l'altra faccia della Cina, mostrando l'immagine della propria terra, lo Shaanxi (regione d'origine di molti registi della sua generazione, tra cui anche Jia Zhangke); non si impegna esclusivamente nel far arrivare in Europa la cultura cinese più antica, legata alla terra, ai valori senza tempo e alle tradizioni, capace ancora di resistere alla commercializzazione e alla modernizzazione più sfrenata. Le sue opere sono distanti da un certo documentario sociale, pronto a gareggiare con il giornalismo e sfruttare eventi di risonanza internazionale: ci parlano di lavoratori che si ritrovano senza impiego e senza casa (West of the Tracks), di uomini isolati (Man with No Name, 2009) e di donne che resistono ad un passato terribile (Fengming, A Chinese Memoir, He Fengming, 2007), di piccoli commercianti in cerca di fortuna (Coal Money, 2009) o di operai al lavoro in postazioni isolate dal mondo (Crude Oil, Caiyou riji, 2009), di bambine orfane abbandonate in un paesino di montagna (Happy Valley, 2009). Questi ritratti del popolo cinese sono svolti in opere capitali per comprendere le strutture che hanno dominato il Novecento e la resistenza dell'uomo all'incedere del mutamento.
Esempi privilegiati della sua ricerca sono alcuni lavori commissionati da fondazioni e gallerie d'arte: Fengming, Crude Oil, Man with No Name, a tutti gli effetti studi, schizzi preparatori, che trovano nella loro semplicità la completezza di un'opera aperta, di un continuo work in progress che rifiuta ogni codificazione e ogni fine.
Proprio qui risiede la grandezza dell'opera di Wang Bing, che come tutto il cinema resistente al mercato supera i confini tra fruizione artistica e cinematografica: la sua instancabile ricerca nel continuo assottigliare la distanza tra il cinema e la vita, tenendo viva la tensione impossibile su cui si basa fin dalle origini l'arte cinematografica. «Più vero del vero» è la frase ricorrente per ogni opera che ha saputo spingersi più in là, creando un nuovo rapporto tra le istanze enunciative in gioco. E Wang Bing lavora proprio in questa direzione, facendo proprie le suggestioni del neorealismo, ridiscutendo i tempi della visione cinematografica, scegliendo oculatamente la strada del digitale (...).
L'estetica del cinema di Wang Bing, che si confronta con la spinta verso l'autenticità di molti film d'inizio millennio, sa rimodellare il rapporto che istituisce con il reale, basandosi innanzitutto sul semplice principio delle «immagini fatto»: i suoi film sono costituiti da piani sequenza che abbracciano l'arco di un avvenimento. Sono le corrispondenze create dalla giustapposizione delle sequenze a creare una traccia narrativa nelle nove ore di West of the Tracks, in cui lo spettatore mette in relazione (nei tempi privati e bui in cui si ricostruisce la visione filmica) quelle che Bazin definisce le forze centrifughe dell'immagine. Ci si trova di fronte, come nella vita, a una tessitura di eventi che potenzialmente hanno pari densità di senso, mai ridotti a un uso strumentale, sempre caricati dal tempo dello sguardo del regista di un valore proprio. Siano i corpi degli operai o le strutture delle fabbriche, la videocamera di Wang Bing registra nella pasta granulosa del digitale un tutt'uno, in cui gli uomini incarnano realmente la fatiscenza dello stabilimento industriale e al contempo la sua struttura sociale, che continua a vivere fuori dal tempo dettato dalla Storia nelle loro menti. Le lunghe soggettive del distretto industriale fantasma, ripreso dalle cabine di pilotaggio delle locomotive che lo attraverso, diventano l'immagine sintetica della tensione tra uomo e tempo perduto: nell'implacabile incedere del treno (e dello sguardo) il paesaggio scorre veloce e sembra aver inghiottito ogni presenza umana, aver totalmente assorbito la vita degli operai tanto da poterne rilasciare le emozioni nella mutevolezza delle luci e dei colori. Forse proprio nell'espressività che acquistano le traversate di West of the Tracks possiamo riconoscere il legame profondo tra Wang Bing e Michelangelo Antonioni, uno dei suoi ispiratori, che del trasformare le situazioni umane in condizioni geofisiche ha fatto la propria peculiarità (...).
Nell'immobilità dei corpi, nei momenti in cui l'uomo riposa e la macchina (poco importa che sia la fabbrica o la videocamera) continua a girare, lo spettatore è chiamato a scegliere la propria posizione, come suggeriva Rossellini in tempi lontani da visioni performative. Le opere di Wang Bing si rivolgono a uomini disposti a confrontarsi con la memoria del Novecento nella convinzione che fare i conti la Storia implichi un atteggiamento onesto e consapevole nel guardare a se stessi. Spettatori chiamati a condividere un cinema che li imprigiona e al contempo li richiama a destarsi. A prendere coscienza del tempo che implica un reale cambiamento.
Confrontandosi con un panorama culturale sempre più sfuggente, la rigorosa presenza del cinema di Wang Bing ci ha spinto ad aprire verso l'Oriente le annuali retrospettive del festival Filmmaker, scegliendo di dedicare al regista ... un omaggio integrale delle sue opere e la prima monografia europea.
* Daniela Persico, curatrice del libro «Wang Bing. Il cinema nella Cina che cambia», da cui è tratto il saggio, è critico cinematografico e cineasta
Il Manifesto 17 novembre 2010

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Sunday, November 21, 2010

Un'idea di Lucca medioevale



Lucca e l'Europa. Un'idea di medioevo V-XI secolo


26 Settembre 2010 – 9 gennaio 2011

Lucca – Fondazione Centro Studi Ragghianti
Via San Micheletto, 5 – 55100 Lucca

orario: 10.00/18.00 chiuso il lunedì

Ingresso gratuito

Un'idea di
sito

La mostra, organizzata in occasione delle celebrazioni per il centenario dalla nascita di Carlo Ludovico Ragghianti, e' stata progettata da un Comitato Scientifico costituito da: Clara Baracchini, Carlo Bertelli, Antonino Calca, Maria Teresa Filieri, Marco Collareta e Gigetta Dalli Regoli.

Un' attenta selezione di oltre cento opere prodotte dal V all'XI secolo, allestite in undici sezioni, esplora la produzione artistica lucchese attraverso puntuali riferimenti al contesto europeo. Un interessante percorso espositivo dove l'opera d'arte, come Ragghianti ci ha insegnato, e' valutata in relazione dinamica con i fenomeni circostanti secondo un metodo che prende in esame i materiali senza giudizi preconfezionati. La rassegna si avvale anche di recenti studi sulle tipologie decorative e sul loro retroterra intellettuale e culturale.

Lucca e l'Europa. Un'idea di Medioevo. V-XI secolo apre il suo percorso espositivo con una meditata, quanto significativa, selezione di antiche monete. I reperti numismatici si configurano fra quei privilegiati indici dello sviluppo artistico dai quali si evince il passaggio dall'estetica naturalistica all'indirizzo astratto prevalente in età medievale. Questo storico passaggio e' ben visibile nel Decanummo di Atalarico, conservato a Firenze al museo del Bargello, nel denaro argenteo per Carlo Magno e nel denaro argenteo per Ottone II, entrambi custoditi presso il Museo di Villa Guinigi a Lucca.

Il percorso prosegue con la sezione dei preziosi manufatti in avorio, materiale pregiato e raro destinato alle piu' raffinate produzioni nell'arte tardo-antica, fra cui spiccano la pisside in avorio proveniente dal Museo Civico di Livorno, il Dittico del 480 commissionato dal console Basilio e il Dittico consolare di Aerobindo del VI secolo. Da questi importanti capolavori si coglie con chiarezza la nuova e diversa dimensione creativa dell'arte tardo-antica, sotto la cui spinta tramonta l'estetica classica.

L'affermarsi della decorazione “astratta” con il simbolismo che talvolta le e' connesso, trova piena affermazione nell'oreficeria, dagli ornamenti dell'abito civile alle decorazioni delle armi. Di questa produzione, riservata alle classi dominanti, si presentano a Lucca notevoli ed emblematici esempi del VII secolo quali, il frontale di elmo che reca inciso il nome del re longobardo Agilulfo del Museo del Bargello di Firenze, la fibula a disco proveniente dal Museo Archeologico di Parma e quella a staffa conservata presso il Museo di Villa Guinigi a Lucca.

La sezione successiva presenta una straordinaria raccolta di sculture in pietra: colonne, pilastrini, capitelli, architravi, transenne e timpani che, nell'insieme, documentano lo sviluppo della decorazione architettonica dal VII al X secolo entro il suo contesto intellettuale e culturale. Raffinati esempi ne sono la lastra con croce di Aquilea (Lucca), il pilastrino proveniente dal Museo Statale d'Arte Medievale e Moderna di Arezzo e le lastre dell'antica cattedrale di Torino.

Nel periodo altomedievale il culto per le reliquie dei Santi si colloca con forza negli usi del popolo cristiano e la devozione che ne deriva avvia una produzione specifica di preziosi reliquiari sia monumentali che mobili. Significativi esempi di questa produzione artistica sono il reliquiario di Cividale, la cassetta-reliquiario della cattedrale di Sarzana e quelli a croce di Vigevano e Volterra.

La mostra affronta anche il ruolo capitale che l'arte del libro occupa nella cultura del periodo. Oltre ad un testimone d'eccezione, il celeberrimo manoscritto 490 della Biblioteca Capitolare di Lucca, che reca la data 787, sono esposti codici e fogli sciolti di produzione altomedievale tra cui particolarmente rari e significativi l'evangelario della Biblioteca Capitolare di Perugia, il foglio di produzione insulare (irlandese o britannico) con Cristo fra gli Apostoli della Biblioteca Nazionale di Torino, l'ornatissimo omeliario dell'abbazia di Montecassino e l'insigne manoscritto Amiatino 3 della Biblioteca Laurenziana di Firenze. Nello spirito della mostra, anche in questo caso gli apparati decorativi dei codici sono suggestivamente confrontati con importanti manufatti di altre tipologie, quali il cosiddetto “cavallino” da Corteolona dei Musei Civici di Pavia, il dittico di Rambona dei Musei Vaticani e il marmoreo rilievo con Arcangelo di Capua.

La “rinascita” carolingia, avviata nel mondo del libro con l'introduzione della minuscola carolina, nel giro di una generazione arriva a coinvolgere tutte le “arti diverse”, qui testimoniate da capolavori assoluti quali il capitello di Malles e la Madonna di Brescia, in stucco, e il Santo ad affresco e la testina in avorio da San Vincenzo al Volturno.

Un'intera sezione e' dedicata poi ad una raffinata selezione di preziosi tessuti serici di provenienza orientale, quali l'eccezionale se pur poco noto telo di Ascoli Piceno e due piu' famosi frammenti del Museo Vaticano e del Bargello. Il tema degli animali affrontati, tipico di questi tessuti, viene ripreso nella scultura in pietra coeva: ne sono esempi in mostra le formelle del Museo Barracco di Roma, le lastre del Museo Provinciale Campano di Capua e del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.

Questo motivo svolge un ruolo importante nello sviluppo del capitello medievale, di cui la mostra testimonia i momenti cruciali con esempi significativi che vanno dall'enigmatico e affascinante capitello di Gello, oggi a Villa Guinigi, fini a quello ormai pienamente romanico di Pavia.

Il fascino dell'Oriente, cosi' importante per gli uomini del medioevo, non e' testimoniato in mostra solo dai tessuti ma anche da altre tipologie di oggetti che dimostrano l'eccellenza artistica di Bisanzio e dell'Islam: e' il caso dello splendido Falco in bronzo, sicuramente fra i piu' notevoli metalli islamici che ci siano pervenuti (affiancato dal suo travestimento in foggia di gallo realizzato quando l'oggetto fu utilizzato come banderuola sulla chiesa di San Frediano di Lucca), nonche' dei bacini ceramici che ornavano le chiese romaniche lucchesi e pisane.

La mostra si conclude con testimonianze artistiche appartenenti agli anni di passaggio tra XI e XII secolo: codici, sculture e monete che alludono in forma sintetica alla nascita della civiltà comunale lucchese. Un rarissimo bronzo raffigurante un leone con volto umano ci proietta poi idealmente verso la realizzazione di una seconda mostra, che illustrerà lo svolgimento dell'arte lucchese nei secoli centrali del Romanico (XII- XIII secolo).

Il percorso espositivo prosegue idealmente nella quattrocentesca Villa Guinigi sede del Museo Nazionale a pochi metri della Fondazione Ragghianti. La Villa ospita infatti una ricchissima collezione di reperti valorizzata da un recente nuovo allestimento che ha coinvolto tutta la sezione medievale del museo.


A conclusione del percorso espositivo è stato presentato un bronzo inedito che non mancherà di fare discutere studiosi e critica. Si tratta infatti di un’opera pressoché unica, finora, nel panorama della plastica medievale che contempla vari soggetti simili realizzati però in pietra (architrave del portale di San Pier Maggiore a Pistoia, capitello del pulpito di Barga in Lucchesia, capitelli sulla facciata della chiesa di Santa Maria Forisportam di Lucca): il «Leone antropomorfo» prodotto, prima del 1263 secondo alcuni confronti stilistici rintracciati dall’estensore della scheda di catalogo Carlo Bertelli, in un unico pezzo di 11 chilogrammi di peso realizzato con il procedimento della cera perduta. Così scrive Bertelli: «Il volto della belva è fortemente umanizzato e presenta qualche analogia tipologica con le teste di leone, anch’esse umanizzate, in un capitello di incerta provenienza nel Museo nazionale di Villa Guinigi di Lucca; ma assolutamente incomparabile è la sua espressione individuale, allo stesso tempo umana e bestiale, rabbiosa e crudele, ma anche impaurita». Il bronzo, mai esposto in precedenza né pubblicato, alto 30 cm e lungo 50 cm, oggi conservato in collezione privata di Lugano, proviene dalla Collezione Bisleri di Milano (asta degli arredi di Palazzo Bordoni Bisleri di via Bigli, 1933). Ora è probabile che gli esperti dibatteranno sulla sua epoca e pure sulla sua funzione: non si tratta di un acquamanile, forse di un doccione di fontana, ma in questo caso doveva avere solo funzione decorativa perché non vi sono sulla superficie fori di entrata e uscita per l’acqua; forse l’oggetto aveva funzioni «decorative» essendo probabilmente poggiato su una base, vista la conformazione delle zampe.



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Friday, November 19, 2010

Noam Chomsky: Un bilancio in rosso per Obama

Una Casa Bianca ostaggio dei supporter del neoliberismo.

Anticipiamo brani da «America, no we can't», il saggio che il noto linguista ha dedicato alla politica statunitense, all'interno del quale analizza i primi due anni della presidenza democratica


L'azione più importante di Barack Obama prima di assumere la carica è la scelta dello staff dirigente e dei consiglieri. La prima scelta è stata per la vice-presidenza: Joe Biden, uno dei sostenitori più tenaci dell'invasione in Iraq tra i senatori democratici, da lungo tempo addentro al mondo di Washington, che vota coerentemente come i compagni democratici - sebbene non sempre, come quando ha portato allegria negli istituti finanziari appoggiando un provvedimento per rendere più difficile agli individui cancellare i debiti dichiarando la propria condizione di insolvenza.
Il primo incarico post-elettorale è stata la nomina cruciale del capo di gabinetto: Rahm Emanuel, anch'egli uno dei più strenui sostenitori dell'invasione in Iraq tra i deputati democratici e, come Biden, buon conoscitore di Washington. Emanuel è anche uno dei maggiori beneficiari dei contributi di Wall Street alla campagna elettorale. Il Center for responsive politics riferisce che «è stato il massimo beneficiario, tra i rappresentanti, dei contributi per la campagna del 2008 provenienti da fondi a rischio, società private con capitale di rischio e le maggiori società finanziarie e di assicurazione». Da quando è stato eletto al Congresso nel 2002, «ha ricevuto più soldi da singoli e da comitati di sostegno elettorale nel mondo degli investimenti e delle assicurazioni che da altri settori dell'industria»; che sono anche quelli che hanno dato i contributi più consistenti ad Obama. Il suo compito era quello di controllare il modo in cui Obama affrontava la peggiore crisi finanziaria mai verificatasi dagli anni '30, per la quale i suoi finanziatori e quelli di Obama condividono ampie responsabilità.
La sinistra ai margini
In un'intervista di un editorialista del Wall Street Journal ad Emanuel fu chiesto che cosa avrebbe fatto la nuova amministrazione Obama riguardo alla «leadership democratica al Congresso, piena di baroni di sinistra con il loro proprio programma»; che contempla il taglio delle spese per la difesa e le «manovre per applicare esorbitanti tasse sull'energia per combattere il riscaldamento globale»; per non parlare dei pazzi totali che in Congresso si trastullano con i risarcimenti per la schiavitù e simpatizzano anche con gli europei che vogliono mettere sotto processo l'amministrazione Bush per crimini di guerra. «Barack Obama si opporrà», ha assicurato Emanuel al giornalista. L'amministrazione sarà «pragmatica», schiverà i colpi degli estremisti di sinistra.
L'esperto di diritto del lavoro e giornalista Steve Early ha scritto che «durante la campagna elettorale, Obama ha detto che appoggiava fermamente l'Employee free choice act, una riforma legislativa sul lavoro, a lungo attesa, che dovrebbe essere parte integrante del piano che ha promesso per stimolare l'economia». Tuttavia, quando Obama presentò i suoi massimi consiglieri economici al momento dell'insediamento «e parlò dei passi da fare per dare una "scossa" all'economia (...) la legge di riforma non faceva parte del pacchetto».
Continuando a passare in rassegna le nomine di Obama, il suo Transition board, l'équipe che si occupa di introdurre i nuovi incaricati nel governo, fu guidato da John Podesta, capo di gabinetto di Clinton. Le figure di punta della sua équipe erano Robert Rubin e Lawrence Summers, entrambi entusiasti della deregolamentazione, il principale fattore scatenante della crisi finanziaria attuale. Come segretario del tesoro Rubin ha lavorato duramente per abolire la legge Glass-Steagall, che aveva separato le banche commerciali dagli istituti finanziari esposti ad alto rischio.
Conflitto di interessi nello staff
La stampa economica esaminò i documenti del Transition economic advisory board di Obama, che si riunì il 7 novembre 2008 per definire le linee di intervento sulla crisi finanziaria. L'editorialista di Bloomberg News, Jonathan Weil concluse che «molti di loro dovrebbero ricevere immediatamente una convocazione in tribunale come persone informate sui fatti, non un posto nel circolo ristretto di Obama». Circa metà «ha avuto incarichi fiduciari in società che, in qualche misura, o hanno bruciato i loro bilanci o hanno contribuito a portare il mondo al collasso economico, o entrambe le cose». È plausibile pensare che «non scambieranno i bisogni della nazione per gli interessi dei loro consoci?» Weil ha anche precisato che il Capo di gabinetto Emanuel «era amministratore alla Freddie mac nel 2000 e 2001, mentre la finanziaria commetteva frodi in bilancio».
La preoccupazione primaria dell'amministrazione è stato il tentativo di arrestare la crisi finanziaria e la parallela recessione nell'economia reale. Ma c'è anche un mostro nell'armadio: un sistema sanitario privatizzato notoriamente inefficiente e scarsamente regolato, che minaccia di mettere in difficoltà il bilancio federale se la crisi persiste. La maggioranza della gente è da lungo tempo a favore di un servizio sanitario nazionale, che dovrebbe essere molto meno costoso e più efficace, come prove comparative (e molti studi) dimostrano.
Appena nel 2004, qualunque intervento del governo nel sistema sanitario era descritto sulla stampa come «politicamente impossibile» e «privo di sostegno politico» - che vuol dire: contrastato dalle compagnie di assicurazione, dalle grandi aziende farmaceutiche e da altri che contano, qualunque cosa ne pensi la popolazione, del tutto irrilevante. Nel 2008, tuttavia, prima John Edwards, poi Obama e Hillary Clinton, hanno avanzato proposte che si avvicinavano a quello che la gente ha a lungo desiderato. Queste idee ora hanno un «sostegno politico». Che cosa è cambiato? Non l'opinione pubblica, che resta come era prima. Ma nel 2008 i settori di potere più potenti, in prima fila l'industria, era arrivata a riconoscere che subivano gravi danni dal sistema sanitario privatizzato. Di conseguenza, la volontà popolare comincia ad avere «sostegno politico». Lo spostamento ci dice qualcosa sulle disfunzioni della democrazia e sulle lotte che si prospettano.
Quello che è accaduto dopo dice ancora di più.
Obama ha abbandonato subito l'opzione popolare e sensata dell'assistenza medica da parte di un unico ente, che aveva detto di voler appoggiare. Ha anche raggiunto un accordo segreto con le aziende farmaceutiche secondo il quale il governo non avrebbe «negoziato il prezzo dei medicinali e non avrebbe richiesto rimborsi addizionali» a seguito delle pressioni delle lobby e contro l'opinione di un netto 85 per cento della popolazione. Una «opzione pubblica» - nella sostanza l'opzione di «medicare per tutti» - rimase, ma fu sottoposta ad un intenso attacco in base alla motivazione, interessante, che gli assicuratori privati non sarebbero stati in grado di competere con un piano governativo efficiente (pretesti più sofisticati non erano meno bizzarri). Nel giugno 2009 il 70 per cento della popolazione era a favore del piano, nonostante l'instancabile e spesso isterica opposizione di gran parte del settore assicurativo.
Due mesi dopo, l'articolo di fondo di Business Week era titolato: «Le assicurazioni sulla salute hanno già vinto: come United health e Rival carriers, manovrando dietro le quinte a Washington, hanno modellato la riforma sanitaria a loro beneficio». Il settore assicurativo «è riuscito a ridefinire i termini della discussione sulla riforma in misura tale che non contano i dettagli del voluminoso progetto di legge che il Congresso manderà al presidente Obama l'autunno prossimo, il settore riemergerà ancora più redditizio (...) i manager delle assicurazioni dovrebbero sorridere di piacere».
A metà settembre, quando i progetti di legge stavano arrivando sul tavolo del Congresso, il mondo degli affari manifestò il suo appoggio alla versione della Commissione finanze del senatore Max Baucus, che aveva lavorato «in stretto contatto con i gruppi imprenditoriali», più che con altri, si dice con approvazione. Le proposte della Camera furono respinte perché non sufficientemente a favore dei gruppi affaristici. Il presidente della Business Roundtable definì la proposta della Commissione finanze del Senato «molto in linea» con i suoi principi, specialmente per il fatto che «non richiede la creazione di un piano pubblico».
Una riforma dimezzata
Naturalmente nessuna vittoria basta di per sé. Perciò, mentre la lotta per la riforma del sistema sanitario paralizzò virtualmente il Congresso alla fine del 2009, le lobby affaristiche iniziarono una grande campagna per ottenere ancora di più, e ci riuscirono. L'opzione pubblica fu alla fine «fatta naufragare» insieme con un connesso «medicare buy-in» che avrebbe permesso alle persone di 55 o più anni di avere il servizio sanitario nazionale. A quel punto la gente era a favore dell'opzione pubblica dal 56 al 38 per cento e il Medicare buy-in in percentuale anche maggiore, tra il 64 e 30 per cento. Il sondaggio che mostrava questi risultati fu reso pubblico, ma i fatti furono omessi: il titolo diceva «Sondaggi: la maggioranza non approva le leggi per il servizio sanitario». L'articolo lascia l'impressione che la popolazione si unisca all'attacco della destra contro il coinvolgimento del governo nell'assistenza sanitaria, assalto condotto dagli interessi affaristici, contrari a quello che proprio il sondaggio rivela e che altri sondaggi mostrano da decenni.
E che hanno continuato a mostrare nel 2010. Un sondaggio della Cbs reso pubblico l'11 gennaio ha rilevato che il 60 per cento degli americani non approvava il modo in cui il Congresso stava affrontando il problema del sistema sanitario. Le cifre dettagliate mostrano che, tra quelli che sono contro il modo in cui la proposta regola il rapporto con le compagnie di assicurazione, la grande maggioranza pensa che non si spinga abbastanza avanti (il 43 per cento di «non abbastanza», contro il 27 per cento di «troppo»). L'assistenza sanitaria è stata una questione cruciale nelle elezioni al senato nel Massachusetts nel gennaio 2010, in cui ha vinto il repubblicano Scott Brown. Tra i Democratici che si sono astenuti o hanno votato per Brown, il 60 per cento pensava che il programma sanitario non si spingeva abbastanza avanti (l'85 per cento di quelli che si astennero). Tra gli astenuti e i democratici che hanno votato per Brown, circa l'85 per cento era a favore dell'opzione pubblica.
In breve, l'evidenza mostra che in realtà cresceva la rabbia popolare contro il progetto di legge sulla sanità di Obama, prima di tutto perché era troppo limitato.
Mentre il settore finanziario aveva tutte le ragioni per sentirsi soddisfatto dei risultati ottenuti dopo gli sforzi per far eleggere il suo uomo, Obama, la storia d'amore ha cominciato a volgere alla fine nel gennaio 2010, quando Obama ha deciso di reagire al montare della rabbia popolare contro gli «stipendi d'oro» per i finanzieri, mentre altri erano impantanati in una «triste strada tutta in salita per i lavoratori». Ha dunque adottato una «retorica populista», criticando le enormi gratifiche per chi era stato salvato dall'intervento pubblico, e proponendo anche delle misure per limitare gli eccessi delle grandi banche (inclusa la «regola Volcker», che avrebbe in parte ristabilito la legge Glass-Steagall, impedendo alle banche commerciali con garanzia governativa di usare i depositi per investimenti a rischio). La punizione per la sua deviazione è stata rapida.
In nome del libero mercato
Le grandi banche hanno annunciato con rilievo che avrebbero spostato i finanziamenti verso i repubblicani, se Obama avesse insistito con i discorsi sulla regolazione e la retorica contro i finanzieri.
Obama ha capito il messaggio. In pochi giorni ha informato la stampa economica che i banchieri sono bei «tipi», scegliendo Dimon e il presidente Lloyd Blankfein della Goldman Sachs come persone degne di lode e, per rassicurare il mondo degli affari, ha spiegato: «Io, come la maggior parte del popolo americano, non provo invidia per chi ha successo e ricchezza», nella forma delle enormi gratifiche e profitti che fanno infuriare la gente. «Fanno parte del sistema di libero mercato», ha continuato Obama; e non sbagliava, considerato il modo in cui il «libero mercato» è interpretato nella dottrina del capitalismo di stato.
Osservazioni come queste suggeriscono un interessante esperimento mentale. Che cosa sarebbe il contenuto del «marchio Obama» se la popolazione dovesse diventare «partecipe» piuttosto che semplice «spettatrice dell'azione»? È un esperimento degno di essere tentato, non solo in questo caso, e c'è qualche ragione per supporre che il risultati potrebbero indicare la via per un mondo più sensato e decente.

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Wednesday, November 17, 2010

Vieusseux ci mostra Pasolini

IL Gabinetto Vieusseux mette in mostra Pasolini all' Archivio Contemporaneo ‘Alessandro Bonsanti’ in Via Maggio 42 a Firenze.

La mostra dal titolo Il laboratorio di Pasolini sarà una buona occasione per vedere materiali scritti difficilmente visibili e raramente presi in esame nelle celebrazioni più o meno ricorrenti che commemorano il valore di Pasolini.
Per l' occasione sarà presentato anche un libro di memorie intitolato Il film dei miei ricordi, scritto da Susanna Colussi Pasolini.

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